Guarire e dimagrire… a sazietà

Abbiamo detto che solo attraverso un’attenta valutazione biochimica dei cibi, delle loro associazioni, dei modi della loro preparazione, e soprattutto della maniera in cui la fisiologia del paziente li accoglie, potrà raggiungersi il risultato desiderato.
La terapia nutrizionale clinica invita cioè a mettere a frutto il potere farmacologico naturale degli alimenti.

Esorta cioè a non arrendersi fin da subito alle scorciatoie farmaceutiche industriali: ho uno scompenso, assumo quel dato farmaco di sintesi, soffoco il sintomo e tiro avanti sperando che non si ripresenti.

E soprattutto è fermamente convinta che, per perdere peso, non si debba patire la fame o mortificare i sensi.

Viceversa, la terapia nutrizionale clinica si avvale degli stimoli metabolici mirati. Cioè prospetta al paziente la sua dieta sulla base della combinazione dei composti biochimici che essa contiene. Allo scopo di risvegliare i tessuti, aiutarli a espellere le tossine, accompagnare organi e apparati verso il recupero del loro pieno vigore funzionale. Cioè permettere all’organismo, inteso come insieme organico, di riacquistare autonomamente tutta la sua forza vitale.

Nel fare questo, la terapia nutrizionale clinica tiene in considerazione, e spesso asseconda, le preferenze alimentari del paziente: la soddisfazione e gli aspetti psicologici sono anch’essi fondamentali. Non ci sarà perciò da stupirsi se nei programmi dietetici compariranno piatti di patate fritte o casseruole ben condite: serviranno magari a stimolare la vitalità epato-biliare o le funzioni peptiche sopite.

Da questo punto di vista, la terapia nutrizionale clinica potrà anche assumere la veste di un ricettario sfizioso. In cui trovare anche il piacere di una cucina assortita, ricca e varia.